Care imprenditrici, cari imprenditori, piccoli e medi,
Cari dipendenti indeterminati e determinati,
sicuramente siamo stati abbondantemente informati sull’indispensabile
questione del povero Balotelli, e su
tutti i fatti di cronaca del momento e del passato. Molto meno sul TTIP (Trasatlantic
Trade and Investment Partnership) che
rischierà di diventare l’ennesima mazzata alle nostre piccole e medie imprese.
La Partnership transatlantica per il commercio e gli
investimenti dovrebbe agire essenzialmente in due direzioni:
- aprire una zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, abbattendo i dazi doganali per tutte le merci;
- uniformare e semplificare le normative tra le due sponde dell’Atlantico, abbattendo le divergenze non legate ai dazi (le cosiddette Non-Tariff Barriers, o NTB) e consentendo così una sana competizione priva di vincoli o lacciuoli.
I cantori dell’accordo, dal Center for Economic Policy Research di Londra all’Aspen Institute, sottolineano che questa mossa aumenterebbe di molto il volume degli scambi e in particolare le esportazioni europee verso gli USA (si dice, di un buon 28%), con speciale incremento nel settore automobilistico, farebbe crescere il PIL mondiale e in particolare la ricchezza degli Stati (si parla di un aumento del PIL tra lo 0.5 e l’1%, e si stimano 545 euro l’anno in più a famiglia), e favorirebbe – tramite una vera competizione – l’innovazione e il miglioramento tecnologico.
- aprire una zona di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, abbattendo i dazi doganali per tutte le merci;
- uniformare e semplificare le normative tra le due sponde dell’Atlantico, abbattendo le divergenze non legate ai dazi (le cosiddette Non-Tariff Barriers, o NTB) e consentendo così una sana competizione priva di vincoli o lacciuoli.
I cantori dell’accordo, dal Center for Economic Policy Research di Londra all’Aspen Institute, sottolineano che questa mossa aumenterebbe di molto il volume degli scambi e in particolare le esportazioni europee verso gli USA (si dice, di un buon 28%), con speciale incremento nel settore automobilistico, farebbe crescere il PIL mondiale e in particolare la ricchezza degli Stati (si parla di un aumento del PIL tra lo 0.5 e l’1%, e si stimano 545 euro l’anno in più a famiglia), e favorirebbe – tramite una vera competizione – l’innovazione e il miglioramento tecnologico.
Chi si oppone all’accordo, l’organizzazione
internazionale Attac (ma non mancano
dure prese di posizione di Slow Food, senza contare le
perplessità dell’ufficio studi di Nomisma, l’analisi più chiara è questa), da un lato contesta la dimensione fasulla dei
benefici ventilati, che andrebbero ridotti realisticamente di almeno 10 volte, dall’altro
prospetta le seguenti conseguenze:
- sul piano economico, l’agricoltura europea, frammentata in 13 milioni di piccole aziende (contro i 2 milioni degli interi Stati Uniti) e non più protetta dai dazi doganali, finirebbe in breve tempo per soccombere alle portaerei d’Oltreoceano, soprattutto se – condizione controversa – venisse dato il via libera alle colture OGM; con tanti saluti alla biodiversità e all’agricoltura a chilometro zero;
- sul piano industriale, in molti settori (dalla siderurgia all’alimentare) la concorrenza delle multinazionali sarebbe esiziale per qualunque realtà di calibro medio o piccolo, talché l’unica salvezza sarebbe creare joint ventures transatlantiche con inevitabile preminenza degli Americani.
- sul piano economico, l’agricoltura europea, frammentata in 13 milioni di piccole aziende (contro i 2 milioni degli interi Stati Uniti) e non più protetta dai dazi doganali, finirebbe in breve tempo per soccombere alle portaerei d’Oltreoceano, soprattutto se – condizione controversa – venisse dato il via libera alle colture OGM; con tanti saluti alla biodiversità e all’agricoltura a chilometro zero;
- sul piano industriale, in molti settori (dalla siderurgia all’alimentare) la concorrenza delle multinazionali sarebbe esiziale per qualunque realtà di calibro medio o piccolo, talché l’unica salvezza sarebbe creare joint ventures transatlantiche con inevitabile preminenza degli Americani.
Significativo è il fatto che sul sito della Commisione
Europea http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/resources/
, vengano riportati gli studi del Center for Economic Policy Research di
Londra, ma non quelle di Attac. E nemmeno si trova traccia dell’audizione al
parlamento europeo del 19 marzo scorso di Thierry Philipponnat, segretario
generale di Finance Watch ( http://www.finance-watch.org/our-work/publications/844-econ-hearing-ttip-march-2014 ) .
In Europa, Francia in Particolare, ( http://www.monde-diplomatique.fr/2013/11/WALLACH/49803
) stanno discutendo, da noi invece nulla, la televisiun con la sua forza da leun
tace. Non ci informa che è in corso una consultazione pubblica ( http://ec.europa.eu/yourvoice/ipm/forms/dispatch)
su un aspetto molto importante del TTIP, la Consultazione pubblica sulle modalità
di protezione degli investimenti e relative all'ISDS (risoluzione
delle controversie investitore-Stato) nel TTIP. Norme che secondo alcuni rischiano di instaurare un predominio delle
multinazionali sugli Stati (basti pensare al processo milionario
intentato dalla Philip Morris contro l’Uruguay per il divieto del fumo, o
quello della Vattenfall contro la Germania per l’abbandono del nucleare, o
quello della Lone Pine contro il Canada per lo stop all’estrazione dello shale
gas).
I grandi sostenitori nostrani del TTIP, da Napolitano, agli
ex premier Enrico Letta e Giuliano Amato in primis, al presidente Renzi, che ha
assicurato Obama (naturale sostenitore delle multinazionali americane) una
corsia Preferenziale per il TTIP durane il semestre di Presidenza italiano,
sono consapevoli che l’ossatura della nostra industria è fatta di piccole e
medie imprese?
Inoltre i testi del
trattato, e nemmeno i lavori preparatori,
sono disponibili, abbiamo informazioni filtrate, infatti una delle
critiche al TTIP è il metodo poco trasparente dei negoziati condizionati dalle
lobby delle multinazionali (aspetto ribadito in tutti i pareri critici), forse
per questo è partita l’iniziativa immagine della consultazione che scade il 7
luglio.
Non s’intende
demonizzare il TTIP, ma per una volta occupiamoci degli interessi della nostra
piccola e media industria, e non dei grandi sponsor del TTIP che sono aziende
industriali e finanziarie multinazionali.